Depliant su impatto ambientale della produzione del latte

N 1. L’impatto ambientale della produzione di latte

Si stima che, solo in Italia, le emissioni annue di gas serra siano pari a circa 428 milioni di tonnellate e che il settore zootecnico sia responsabile del 5,6% di queste emissioni (Ispra, 2018). Più della metà di queste deriva dagli allevamenti di bovini, e, in particolare, il settore delle bovine da latte, responsabile del 37% della CO2 eq. emessa complessivamente dal settore zootecnico, costituisce l’allevamento più impattante sul cambiamento climatico. Risulta, infatti, che per ogni chilogrammo di latte prodotto, vengano emessi da un minimo di 0,96 a un massimo di 2,32 kg di CO2 eq., per una media di circa 1,37 kg di CO2 eq./kg latte (Gislon et al., 2020).

Per il calcolo dell’impatto della produzione di un alimento, come il latte, viene solitamente utilizzato il metodo Life Cycle Assessment-LCA. Questo metodo consente di valutare in modo complessivo l’impatto ambientale di ogni fase produttiva, valutando l’effetto dell’intero ciclo di vita del prodotto. Da un lato, vengono considerate le materie prime e l’energia usata nei processi, in una parola, gli input necessari alla produzione; per esempio, nel caso del latte, vengono esaminati i processi di produzione dei foraggi e dei concentrati per l’alimentazione degli animali, i materiali utilizzati per le lettiere, i fertilizzanti per le coltivazioni, il gasolio consumato per le lavorazioni colturali, etc. Dall’altro lato, vengono calcolati gli output, quindi tutto ciò che è prodotto dal sistema (latte e carne), comprese le emissioni di gas.

Lo studio LCA è molto importante per prendere consapevolezza, in primo luogo, del peso ambientale delle varie fasi produttive, distinguendo così l’impatto prodotto da processi interni all’azienda agricola e dai processi esterni ad essa; in secondo luogo, grazie a questo sistema, è possibile individuare gli elementi che contribuiscono maggiormente all’impatto ambientale.

Lo studio dell’impatto ambientale della produzione del latte consente di capire quali scelte gestionali (legate ad esempio al piano colturale, agli alimenti acquistati, al numero di animali in produzione, alla razza allevata ecc.) possono essere utili per ridurre l’impatto sull’ambiente della produzione di latte.

N 2. Il ruolo dell’allevatore: quali scelte gestionali consentono la produzione di un latte più sostenibile

La produzione di latte, come tutte le attività umane, si sa, ha un certo effetto sull’ambiente. In questo secondo depliant, il progetto Clevermilk si propone di illustrare in breve alcuni tra gli aspetti gestionali a cui prestare maggiormente attenzione per la produzione di un latte più sostenibile.

Uno studio americano di Capper et al. (2009) ha confrontato l’impatto della produzione di latte negli anni ‘40 con l’impatto della produzione moderna, all’anno 2007. Il risultato ottenuto mostra che le aziende moderne richiedono un quantitativo nettamente inferiore di risorse per unità produttiva di latte rispetto al passato; nello stesso tempo, per queste aziende, la produzione di deiezioni, metano e protossido di azoto per kg di latte prodotto risulta essere di gran lunga inferiore rispetto al 1944. L’aumento dell’efficienza produttiva aziendale, che si sta verificando, ha quindi, contemporaneamente, portato a un beneficio per l’ambiente.

Perseguire la riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte deve essere uno degli obiettivi della zootecnia moderna; oltre al miglioramento della genetica deli animali, sono le scelte gestionali da parte degli allevatori ad avere un peso importante sulla sostenibilità ambientale. Infatti, l’efficienza produttiva è migliorabile, per esempio, aumentando il benessere e preservando la salute degli animali, oltre che prestando attenzione alla razione e a come gli animali vengono alimentati.

Ecco alcuni esempi:

  • Aumentare il benessere e preservare la salute degli animali

Quando gli animali stanno bene producono di più, vivono più a lungo e il loro impatto sull’ambiente è inferiore. Il primo passo per garantire il benessere animale è consentire un corretto comfort ambientale e quindi garantire il dimensionamento corretto e le condizioni ideali dell’ambiente in cui l’animale vive (ambiente ventilato e ombreggiato in estate, protetto da correnti d’aria e piogge nel periodo invernale). Un ambiente non confortevole e densità eccessive comportano maggiore dispendio energetico da parte dell’animale dovuto alla termoregolazione o a fenomeni di competizione tra animali; in conseguenza a ciò, vi sono una riduzione della produzione e un maggior rischio di insorgenza di patologie. Vi è infatti una relazione stretta tra l’esposizione a fattori stressanti (ambientali, sociali, alimentari) e la risposta del sistema immunitario dell’animale.

Un secondo aspetto a cui porre attenzione è proprio la prevenzione delle malattie. Bovine malate, infatti, producono meno latte, richiedono più cure (medicinali e antibiotici), che contribuiscono a loro volta all’impatto ambientale, e sono più spesso riformate precocemente; è provato, invece, che bovine con una carriera produttiva più lunga hanno minori emissioni per chilogrammo di latte e redditività migliori (Glandl et al., 2019).

  • Prestare attenzione all’alimentazione degli animali

È possibile ridurre l’impatto ambientale della produzione di latte anche attraverso corrette scelte alimentari. Una delle strategie più efficaci consiste nell’aumentare l’efficienza della razione, ottimizzando la digeribilità e la qualità degli alimenti e soddisfacendo il più possibile i reali fabbisogni dell’animale. In questo modo, non si penalizzeranno le vacche più produttive e si ridurranno le escrezioni.

È importante quindi conoscere la reale qualità degli alimenti che vengono somministrati facendo analisi periodiche sia della razione che dei singoli alimenti, soprattutto di quelli prodotti in azienda che potrebbero avere qualità variabile in funzione dell’annata.

Un’altra strategia possibile per la diminuzione delle emissioni è la riduzione della metanogenesi. La produzione di metano a livello ruminale è un processo fisiologico, legato alla capacità dei ruminanti di utilizzare alimenti fibrosi, quindi non è possibile azzerarne la produzione. Esistono, tuttavia, delle strategie di riduzione di questo gas, come la formulazione di razioni dal basso rapporto foraggi/concentrati e contenenti amido. In questo caso, è importante, però, prestare attenzione a mantenere un certo equilibrio poiché un apporto eccessivo di concentrati a scapito della fibra può causare problemi di acidosi. Altre strategie utilizzabili riguardano l’aggiunta di additivi nella dieta in grado di ostacolare la produzione di metano enterico, come ad esempio tannini, probiotici e prebiotici.

Un altro aspetto importante a livello ambientale è la provenienza degli alimenti utilizzati in razione, soprattutto degli alimenti proteici (es. farina di estrazione di soia), ma di questo argomento parleremo nel prossimo depliant…non perderlo!

N. 3 – Il ruolo dell’allevatore: quali scelte gestionali consentono la produzione di un latte più sostenibile – parte II

La produzione di latte, come tutte le attività umane, si sa, ha un certo effetto sull’ambiente. In questo terzo depliant, il progetto Clevermilk si propone di illustrare in breve alcuni tra gli aspetti gestionali a cui prestare maggiormente attenzione per la produzione di un latte più sostenibile.

Uno studio americano di Capper et al. (2009) ha confrontato l’impatto della produzione di latte negli anni ‘40 con l’impatto della produzione moderna, all’anno 2007. Il risultato ottenuto mostra che le aziende moderne richiedono un quantitativo nettamente inferiore di risorse per unità produttiva di latte rispetto al passato; nello stesso tempo, per queste aziende, la produzione di deiezioni, metano e protossido di azoto per kg di latte prodotto risulta essere di gran lunga inferiore rispetto al 1944. L’aumento dell’efficienza produttiva aziendale, che si sta verificando, ha quindi, contemporaneamente, portato a un beneficio per l’ambiente.

Perseguire la riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte deve essere uno degli obiettivi della zootecnia moderna; oltre al miglioramento della genetica degli animali, sono le scelte gestionali da parte degli allevatori ad avere un peso importante sulla sostenibilità ambientale. Infatti, l’efficienza produttiva è migliorabile, come già visto, aumentando il benessere, preservando la salute degli animali e curandone l’alimentazione (N.02 – giugno 2021). Inoltre, una gestione ottimale dell’allevamento deve considerare alcuni aspetti aziendali di cui ancora non abbiamo parlato:

  • Gestione delle deiezioni

Dalle deiezioni animali derivano alcune sostanze che contribuiscono all’impatto ambientale della produzione di latte. Tra queste, ci sono l’ammoniaca, precursore di N20 e particolato atmosferico, responsabile di acidificazione dei suoli e eutrofizzazione delle acque, il protossido di azoto e il metano, due tra i principali gas a effetto serra.

L’entità di queste emissioni aumenterà o diminuirà a seconda della temperatura e dell’umidità ambientali, del tipo di alimentazione degli animali, della stabulazione degli stessi e della tipologia di pavimentazione dei ricoveri, e ancora, in base alle modalità di rimozione e stoccaggio e ai trattamenti delle deiezioni; infine, le emissioni dipendono anche dalle modalità e tempistiche di distribuzione al campo dei reflui.

Sono quindi diversi gli accorgimenti utili a favorire la riduzione delle emissioni da reflui zootecnici, eccone alcuni:

  • Coibentazione della stalla e adozione di sistemi di ombreggiamento, ventilazione, raffrescamento
  • Rimozione frequente delle deiezioni dalle corsie, per evitare il contatto prolungato tra feci e urine e ridurre il tempo di esposizione all’aria delle deiezioni
  • Stoccaggio coperto, per ridurre l’ingresso di acque meteoriche e l’esposizione all’aria della superficie. L’applicazione di una copertura alla vasca di stoccaggio può ridurre del 77% circa le emissioni di NH3 provenienti dalla stessa (Deng et al., 2015)
  • Trattamenti dei reflui – Digestione anaerobica: riduce del 22% il riscaldamento globale potenziale (Bacenetti et al., 2016)
  • Distribuzione e incorporazione contestuale del liquame nel terreno, rispetto alla sola distribuzione superficiale, può ridurre le emissioni di ammoniaca. Applicando uno spandimento rasoterra in banda o uno spandimento sotto superficiale a solco chiuso si sono ottenute riduzioni di NH3 rispettivamente del 42% e del 73% (Finzi et al., 2019)
  • Pianificazione della distribuzione dei reflui al campo in termini di tempistiche, quantità e uniformità. Gli strumenti di precisione possono aiutare in tal senso
  • Sistemi foraggeri

È possibile ridurre l’impatto ambientale della produzione di latte anche ottimizzando i sistemi foraggeri. Una parte importante delle emissioni aziendali deriva, infatti, dalle colture e dagli alimenti acquistati. Si riportano di seguito alcune strategie gestionali dei sistemi foraggeri che possono contribuire alla riduzione delle emissioni della produzione di latte:

  • Aumentare l’autosufficienza aziendale, riducendo la necessità di acquistare alimenti dall’esterno. Importante è anche gestire la conservazione degli alimenti per ridurne lo scarto
  • Aumentare la superficie agricola a leguminose, strategia che può ridurre del 10% circa le emissioni di CO2eq. per kg di latte (Forage4climate.crpa.it); inoltre, grazie alla coltivazione di azotofissatrici, è possibile ridurre la fertilizzazione con azoto di sintesi chimica
  • Reintrodurre i prati permanenti e semipermanenti per aumentare il sequestro di carbonio
  • Abbandonare la monocoltura, a favore delle rotazioni
  • Favorire coltivazioni ad alto valore nutritivo, come il pastone di mais o i fieni insilati, per migliorare la conversione degli alimenti

Si riporta, infine, il caso studio di una azienda in cui è stata introdotta la soia insilata a pianta intera, in sostituzione ad altre colture. Questa soluzione ha consentito di dimezzare l’azoto di sintesi somministrato alle colture in un anno e di ridurre per più del 26% l’acquisto di mangimi proteici a base di soia in un anno. Questo tipo di scelta gestionale ha contribuito, complessivamente, a ridurre l’impronta di carbonio aziendale del 19% circa, passando dall’emissione, nel 2016, di 1,71 kg di CO2eq. a 1,39 kg di CO2eq. per kg di latte corretto, nel 2019 (Forage4climate.crpa.it).

Molti dati sono stati ottenuti all’interno del progetto Forage4climate: http://forage4climate.crpa.it/nqcontent.cfm?a_id=14261

N. 4 – La tecnologia nelle aziende da latte italiane

La diffusione della tecnologia nelle aziende non è così omogenea (ISTAT, 2021) ed è ancora un aspetto da indagare: quali sono gli ambiti gestionali che, secondo gli allevatori, più necessitano di un supporto tecnologico? Quali sono i limiti e i vantaggi di un investimento nella tecnologia?

Nei primi mesi del 2021 è stato diffuso tra gli allevatori italiani di bovine da latte un questionario riguardante la presenza e l’uso delle tecnologie per il monitoraggio degli animali e per la gestione aziendale. Nell’indagine sono state considerate 52 aziende, principalmente lombarde.

Le aziende più rappresentate, per quanto riguarda il sistema di mungitura, sono quelle in possesso di sala di mungitura convenzionale (73%), seguite dalle aziende con robot (19%). Più della metà dei rispondenti ha un’età compresa tra i 40 e i 60 anni, il 35% è più giovane, solo il 13% ha più di 60 anni. Dall’indagine è emerso che l’età del conduttore aziendale, il livello produttivo e la presenza di robot sono gli aspetti che più influenzano la diffusione dei sensori in azienda.

Indagando sulla diffusione delle tecnologie, è emerso che gli strumenti più adottati sono gli attivometri, utilizzati per il rilevamento dei calori, e gli strumenti per monitorare la produzione di latte, questi ultimi presenti nelle aziende da più tempo rispetto alle altre tipologie di sensori. I sensori per monitorare il colore del latte e per rilevare zoppie sembrano essere, invece, i meno conosciuti dagli allevatori; più conosciuti ma in assoluto meno diffusi nelle aziende sono i sensoriin grado di rilevare alcune biomolecole nel latte, come il progesterone o il beta-idrossibutirrato.

Sempre fertilità e produzione sono gli ambiti gestionali più citati quando si parla di investimenti futuri, rivelando un interesse tuttora acceso per questi sensori e l’esistenza di aziende che ancora non adottano sistemi di questo tipo. Gli strumenti per la gestione della fertilità sono ritenuti, inoltre, i più utili dagli allevatori.

Dalle risposte ottenute, è stato possibile individuare i punti critici legati all’adozione di tecnologia: al primo posto troviamo il costo; seguono il tempo per l’osservazione dei dati, le difficoltà nell’interpretazione dei dati, la mancanza di assistenza e l’affidabilità. Tra le principali ragioni di investimento, invece, troviamo il miglioramento nella gestione della fertilità e nella gestione del lavoro e il miglioramento del benessere e della salute degli animali.

Nel prossimo numero, osserveremo in che modo il costante monitoraggio della produzione di latte con il supporto della tecnologia possa ottimizzare l’efficienza ambientale delle aziende da latte.

N. 5 – Il monitoraggio della mungitura per ridurre l’impatto ambientale del latte

Grazie all’applicazione di strumenti tecnologici negli allevamenti, è oggi possibile monitorare in continuo ambiente, animali e produttività aziendale. Si sviluppa così la zootecnia di precisione, studiata nel progetto Clevermilk, come supporto per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti della produzione di latte.

La zootecnia di precisione utilizza diversi strumenti; alcuni di questi, si applicano durante la mungitura delle bovine e, nella loro semplicità, facilitano la gestione aziendale e le scelte manageriali dell’allevatore. Il solo monitoraggio di quantità e flusso di emissione del latte per singolo capo favorisce, ad esempio, una selezione efficiente della mandria e consente un controllo maggiore della routine di mungitura. Il tutto si traduce in maggior produzione di latte per capo, minor numero di infezioni mammarie, maggior efficienza aziendale, e, quindi, minore impatto ambientale.

Altri sensori applicabili sulle mungitrici possono, inoltre, monitorare alcuni indicatori di infezione mammaria, come la conducibilità elettrica o la conta di cellule somatiche. Anche questi strumenti possono contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale, ma questo argomento verrà meglio descritto nel prossimo depliant, dedicato alla sanità della mammella.

I sensori utilizzati per il monitoraggio produttivo sono già molto diffusi nelle aziende da latte italiane e sono secondi solo agli attivometri (dati rilevati attraverso questionario, 2021). In particolare, sono gli allevatori più giovani ad investire maggiormente in questo tipo di sensori.

Per studiare se le tecnologie possano contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale, è stato stimato l’effetto dell’introduzione di un robot di mungitura in 2 diverse aziende della Pianura Padana:

  • Azienda a posta fissa nel lodigiano (30 vacche in latte, media latte 26 kg/vacca giorno)
  • Azienda a stabulazione libera (100 vacche in latte, media latte 30 kg/vacca giorno)

In queste due aziende, è stata valutata l’emissione di gas serra per kg di latte con metodo Life Cycle Assessment (LCA). Si sono stimati, considerando studi scientifici precedenti:

  • un aumento della produzione di latte (+5 % vs +15%; Tse et al., 2018; Toušová et al., 2014; Hansen, 2015; de Koning, 2010)
  • un miglioramento della qualità del latte (+0,10% grasso; +0,6% proteine; Toušová et al., 2014)
  • un aumento del consumo energetico in stalla (+1,8 kWh/100 litri latte vs +2,44 kWh/100 litri latte; Calcante et al., 2016)
  • un incremento di ingestione (Allen et al., 2019) e di conseguenza di acquisto di alimenti
  • una modifica nella suddivisione dell’impatto tra latte e carne prodotti.

La produzione di un latte più ricco in grasso e proteina ha comportato una riduzione delle emissioni di gas serra per kg di latte prodotto da un minimo dello 0,04%, nella prima azienda, a un massimo dello 0,06%, nella seconda. L’aumento della quantità di alimenti acquistati ha causato, invece, un aumento delle emissioni. In particolare, l’aumento dell’acquisto di proteina ha comportato un aumento di gas serra che va dallo 0,86%, se si considera un aumento produttivo di latte del 5%, al 3,59%, considerando un aumento produttivo del 15%.

Anche il consumo energetico, maggiore a causa dell’uso di robot, ha portato ad un aumento percentuale delle emissioni: tra lo scenario a basso consumo e ad alto consumo, l’impatto aumenta in un range compreso tra lo 0,07% e lo 0,15%, rispettivamente nella prima e nella seconda azienda.

Complessivamente, l’applicazione di un robot di mungitura ha portato ad una riduzione delle emissioni aziendali di gas serra da un minimo del 3% ad un massimo del 9%, principalmente grazie all’incremento produttivo (+5%/+15%).

Questo risultato dimostra che, l’utilizzo di robot di mungitura, quando comporta un aumento produttivo e non influisce negativamente sulle condizioni sanitarie della mandria, può contribuire ad una riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte.


N. 06 – Sanità della mammella e impatto ambientale

Grazie all’applicazione di strumenti tecnologici negli allevamenti, è oggi possibile monitorare in continuo ambiente, animali e produttività aziendale. Si sviluppa così la zootecnia di precisione, studiata, nel progetto Clevermilk, come possibile supporto nella riduzione delle emissioni di gas climalteranti della produzione di latte.

Lavorare per preservare la salute degli animali è fondamentale per mantenere sostenibile la propria azienda, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista ambientale. Una patologia molto diffusa nelle aziende da latte è la mastite, che comporta cali produttivi e, nei casi più gravi, la riforma dell’animale, contribuendo ad aumentare l’impatto ambientale della produzione di latte. Sono infatti diversi gli studi sull’incremento di emissioni di gas a effetto serra, per kg di latte, dovuto alle infezioni mammarie (Hospido et Sonesson, 2005; Özkan Gülzari et al., 2018; Mostert et al., 2019).

La zootecnia di precisione può assistere il lavoro dell’allevatore nel monitoraggio dello stato sanitario della mammella delle bovine, consentendo, dove necessario e possibile, la cura tempestiva dell’animale. Già il solo monitoraggio produttivo e qualitativo del latte può facilitare la rilevazione di mastite. Esistono, però, strumenti specifici per individuare con maggior efficienza le infezioni mammarie; i più diffusi sono gli strumenti per la conta delle cellule somatiche (CCS) e per la rilevazione della conducibilità elettrica (CE). Le cellule somatiche, principalmente costituite da cellule del sistema immunitario, sono un importante indicatore di infezioni mammarie, specialmente quando, nelle forme di mastite subclinica, non c’è una manifestazione sintomatica acuta della patologia. Esiste infatti una correlazione diretta tra infezione della mammella e contenuto di CCS nel latte. Anche le variazioni della conducibilità elettrica del latte possono essere un valido strumento di diagnosi di mastite, seppur meno preciso della CCS. In presenza di mastite, infatti, si altera la permeabilità delle membrane cellulari del tessuto secernente della mammella, comportando un rilascio di ioni sodio e cloro e un aumento della CE del latte prodotto. Meno diffusi sono invece gli strumenti per rilevare il colore del latte, che si può alterare per la presenza di sangue o coaguli in caso di infezione acuta della mammella, e gli strumenti per rilevare alcune biomolecole nel latte, come la lattato-deidrogenasi.

Per studiare, però, se, nel concreto, le tecnologie per la rilevazione di mastite possano contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale, sono state prese in esame 2 aziende della Pianura Padana che rilevano da più di 5 anni la conducibilità elettrica e la conta delle cellule somatiche per la diagnosi di mastite.

In queste due aziende, è stato valutato l’impatto ambientale con metodo Life Cycle Assessment (LCA) nell’anno 2020, a partire da dati reali, e in uno scenario con dati ipotetici. In questo scenario si è supposta una capacità di individuare episodi di mastite inferiore del 5% rispetto a quella presente in azienda, ipotizzando che l’allevatore non utilizzasse in modo efficiente gli strumenti a sua disposizione per il monitoraggio della sanità della mammella.

Nel nuovo scenario si è quindi ottenuto:

  1. Riduzione della produzione di latte degli animali malati, ma non individuati e curati
  2. Aumento della media delle cellule somatiche del latte: più animali riformati, meno latte prodotto e più latte scartato
  3. Maggior numero di giovani animali che dovranno sostituire quelli riformati

Questi cambiamenti nei dati aziendali hanno comportato una variazione dell’impatto ambientale. Si è visto infatti che, per ogni aumento del 5% della capacità di individuare mastiti, si prevede una diminuzione dell’impatto ambientale media dello 0,5%,in termini di emissione di gas climalteranti.

Questo risultato dimostra che, l’utilizzo di tecnologia come strumento per monitorare lo stato sanitario della mammella può contribuire ad una riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte.


N. 7 – Riproduzione, zoppie e impatto ambientale

Grazie all’applicazione di strumenti tecnologici negli allevamenti, è oggi possibile monitorare in continuo ambiente, animali e produttività aziendale. Si sviluppa così la zootecnia di precisione, studiata, nel progetto Clevermilk, come possibile supporto nella riduzione delle emissioni di gas climalteranti della produzione di latte.

Una gestione efficiente della riproduzione delle bovine è uno tra gli aspetti più importanti in un’azienda da latte. Ottimizzare i tempi di inseminazione e gli intervalli inter-parto consente, infatti, di ridurre il periodo improduttivo dell’animale e di ottenere il massimo rendimento dalle risorse impiegate in stalla; inoltre, in questo modo, è possibile favorire, in modo indiretto, una riduzione delle emissioni di gas climalteranti per kg di latte prodotto (Garnsworthy, 2004; Tullo et al., 2019).

Per una corretta gestione del ciclo riproduttivo delle bovine, è fondamentale la tempestiva rilevazione dei calori. Questa può essere eseguita, nel modo più semplice e affidabile, attraverso l’osservazione degli animali e del loro comportamento (per circa 20-30 min, più volte al giorno); questo metodo, però, risulta impegnativo e dispendioso, soprattutto nei grandi allevamenti e nel caso, sempre più frequente, in cui l’operatore aziendale abbia numerose altre mansioni da svolgere nel corso della giornata. Per compensare queste problematiche, sono stati sviluppati da diversi anni sensori in grado di rilevare l’attività motoria degli animali (attivometri o podometri), capaci di individuare circa il 70% delle bovine effettivamente in estro (Abeni et al., 2019); o, ancora, dei sensori per la rilevazione di molecole nel latte, come il progesterone, validi indicatori dello stato riproduttivo dell’animale.  La rilevazione degli estri attraverso la tecnologia sembra essere, in generale, più efficiente di una rilevazione basata sulla sola osservazione da parte dell’uomo (Mayo et al., 2019).

Per verificare l’effettivo beneficio ambientale della zootecnia di precisione applicata nel campo riproduttivo, il progetto Clevermilk ha studiato l’impatto ambientale di due aziende da latte lombarde, nell’anno 2020, considerando la presenza o meno di attivometri o di sensori per la rilevazione del progesterone. Sono stati studiati i dati riproduttivi aziendali precedenti all’introduzione di tecnologia (anno 2008) ed è stato creato uno scenario nell’anno 2020, ipotizzando di non utilizzare strumenti di precisione per la rilevazione dei calori. Senza considerare modifiche nella genetica degli animali o nella formulazione delle razioni, o miglioramenti gestionali più generici, in entrambe le aziende, grazie all’uso di strumenti di precisione per la rilevazione dei calori, si è ottenuta una riduzione dell’impatto ambientale, per kg di latte venduto, in media del 10%.

L’ultimo aspetto su cui si è focalizzato il progetto Clevermilk riguarda la salute podale delle bovine. La zoppia è, infatti, una patologia con un impatto molto elevato, sia a livello economico, sia ambientale; ma, rispetto ad altre patologie, viene spesso sottovalutata e non diagnosticata in modo tempestivo. In media, un solo caso di zoppia produce circa l’1,5% in più di CO2 eq. per tonnellata di latte corretto in grasso e proteine (Mostert et al., 2018).

Poiché, però, gli strumenti per la rilevazione di zoppie non sono così diffusi (Bianchi et al., 2022), una valida soluzione potrebbe consistere nello studiare le variazioni nella produzione di latte e nel flusso di emissione, possibili segnali indiretti di problemi agli arti delle bovine (Juozaitiene et al., 2021). Se una bovina è zoppa tende infatti ad alzarsi per alimentarsi meno volentieri, questo porta prima di tutto ad una riduzione della produzione lattea. Inoltre se una bovina è sofferente per una problematica all’arto tende a produrre cortisolo, un ormone che sembrerebbe ridurre il rilascio di ossitocina, quest’ultimo fondamentale per una corretta e continua emissione del latte.

Da alcune prime analisi di dati raccolti in una azienda da latte lombarda, sembrerebbe che, già a partire da 20 giorni prima di un intervento di mascalcia, sia possibile prevedere casi di zoppia osservando variazioni nella produzione di latte: risulta, infatti, che bovine zoppe, in media, riducano il loro livello produttivo fino a 3 kg per mungitura.

Sempre da un’analisi degli stessi dati, emerge come bovine con zoppia abbiano un’emissione di latte spesso anomala, con una maggior frequenza di bimodalità. Mediamente, inoltre, hanno un picco di flusso più pronunciato: già da 20 giorni prima della diagnosi, una bovina zoppa emette circa il 2% di latte in più nei primi due minuti di mungitura, rispetto a una bovina sana.

Questi risultati dimostrano che, l’utilizzo di tecnologia, in diversi ambiti gestionali, riproduttivi o riguardanti il benessere e la salute degli animali, può contribuire ad una riduzione dell’impatto ambientale della produzione di latte.